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Under 35 sotto i 1.000 euro "Non sono valorizzate le competenze"

In Italia, la questione degli stipendi dei giovani è una realtà triste e ben documentata. Secondo l'ultimo rapporto Istat del 2024, oltre il 43% degli under 35 guadagna meno di 1.000 euro netti al mese, mentre solo un quarto dei giovani riesce a superare i 2.000 euro mensili.

Questo scenario è confermato anche da una recente inchiesta del Consiglio Nazionale dei Giovani. Per comprendere le cause di questa situazione e cercare possibili soluzioni, abbiamo intervistato Maurizio del Conte, professore ordinario di Diritto del Lavoro all'Università Bocconi.

Piccole Imprese e Produttività

Il modello delle piccole e medie imprese (PMI) ha rappresentato per anni la spina dorsale dell'economia italiana. Tuttavia, secondo Del Conte, queste realtà spesso non riescono a generare valore aggiunto sufficiente per garantire salari elevati.

La mancanza di strutture aziendali grandi e innovative, tipiche di altri mercati europei, si traduce in una bassa produttività. Di conseguenza, i giovani lavoratori, le cui competenze non sono adeguatamente richieste, finiscono per essere sottopagati.

«Confermo - sottolinea il professor Del Conte - che, alla fine, è una questione di produttività. E vi chiederete perché questo incide sui giovani. Perché nei giovani si dovrebbero cercare le competenze, ma quando non sono tanto richieste o non particolarmente elevate, come avviene nel nostro mercato del lavoro, è chiaro che poi si pagano di meno e si sfruttano».

La Formazione: Un Anello Debole

Uno dei problemi principali è la formazione delle competenze. In Italia, le imprese tendono a scaricare sui giovani il costo della formazione, creando un circolo vizioso. Le aziende non investono sufficientemente nella formazione dei giovani perché temono che questi possano cambiare lavoro.

Nei Paesi in cui la formazione è finanziata pubblicamente, le imprese riescono a contare su un bacino di giovani formati che possono essere facilmente sostituiti all'interno dei distretti produttivi.

La Soluzione del Distretto delle Competenze

Del Conte suggerisce l'adozione di un modello basato sui "distretti delle competenze". Questo approccio prevede che, anche se alcuni giovani lasciano un'azienda, altri ben formati rimangano nel territorio, contribuendo a un ciclo virtuoso di crescita professionale.

Un esempio positivo in Italia è la Motor Valley in Emilia Romagna, dove si è investito nella formazione di tecnici specializzati, facilitando l'incrocio tra competenze e esigenze aziendali.

Risorse Pubbliche e Formazione

Un altro problema sollevato da Del Conte riguarda l'uso inefficace delle risorse pubbliche destinate alla formazione. Nonostante l'Italia disponga di fondi europei significativi, questi vengono spesso spesi in modo inefficiente, ad esempio in corsi di lingue o pacchetti informatici di base che non rispondono alle esigenze della rivoluzione digitale.

La mancanza di una programmazione adeguata ha portato a una dispersione delle risorse, senza un vero piano di riforma della formazione professionale.

La Lombardia è un’eccezione rispetto al resto d’Italia perché si fa molta più formazione, ma anche qui resta il problema di trovare giovani. «Abbiamo un sacco di soldi, un sacco di risorse pubbliche europee per la formazione.

Purtroppo li spendiamo male in corsi di lingue o in pacchetti informatici di base. Non è questo quello che richiede la rivoluzione digitale. Forse poteva andar bene 25 anni fa, ma adesso è decisamente inutile. La verità - conclude il docente della Bicocca - è che al solito l’Italia ha sperperato la grande opportunità dei fondi del Pnrr per la formazione: non è uscito un piano di riforma della formazione professionale.

Noi siamo bravissimi a lamentarci che non ci sono le risorse e quando le abbiamo non sappiamo bene che farcene. Il risultato è che abbiamo distribuito sull’esistente molte risorse in più, senza la necessaria programmazione a evitare la grande abbuffata di formatori che poi si rivelano assolutamente inadeguati a fornire i giovani delle competenze promesse».

Un Mismatch tra Domanda e Offerta

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è un altro aspetto cruciale della problematica. In Italia, le aziende non trovano sempre le competenze necessarie nei giovani, e i giovani non trovano opportunità che valorizzino le loro capacità.

Questo squilibrio contribuisce alla bassa produttività e agli stipendi bassi. «Se tu giovane - aggiunge Del Conte - hai delle competenze spendibili sul mercato del lavoro è giusto che te le vada a spendere dove vengono pagate di più. È una questione di riconoscimento. Il giovane non cambia lavoro perché l’hai formato e vuol farti un dispetto, lo fa perché tu non lo hai valorizzato adeguatamente.

C’è un problema di cultura imprenditoriale che tende a non considerare sufficientemente il ruolo che deve avere comunque l’impresa di far crescere professionalmente i giovani. Non è una questione morale, è una questione proprio di capire qual è l’interesse complessivo di sviluppo del sistema economico.

Perché uno deve restare in un contesto che sostanzialmente non lo valorizza? Non c’è come coltivare le competenze, le capacità, le persone, il cosiddetto capitale umano, per poi vedere nel lungo periodo effetti positivi proprio sullo sviluppo».

Un po’ sullo stile della Motor Valley in Emilia Romagna, cioè un territorio dove si è pensato di far crescere una generazione di giovani tecnici che conoscono bene il mestiere e così le imprese poi fanno meno fatica a incrociare le competenze di cui hanno bisogno. Così si crea un ciclo virtuoso che fa crescere la comunità nel suo complesso.

La Situazione in Lombardia

La Lombardia rappresenta un’eccezione rispetto al resto d’Italia per quanto riguarda la formazione professionale. Qui, infatti, si fa molta più formazione, eppure anche in questa regione rimane il problema di trovare giovani preparati. «Abbiamo un sacco di soldi, un sacco di risorse pubbliche europee per la formazione.

Purtroppo li spendiamo male in corsi di lingue o in pacchetti informatici di base. Non è questo quello che richiede la rivoluzione digitale. Forse poteva andar bene 25 anni fa, ma adesso è decisamente inutile. La verità - conclude il docente della Bicocca - è che al solito l’Italia ha sperperato la grande opportunità dei fondi del Pnrr per la formazione: non è uscito un piano di riforma della formazione professionale.

Noi siamo bravissimi a lamentarci che non ci sono le risorse e quando le abbiamo non sappiamo bene che farcene. Il risultato è che abbiamo distribuito sull’esistente molte risorse in più, senza la necessaria programmazione a evitare la grande abbuffata di formatori che poi si rivelano assolutamente inadeguati a fornire i giovani delle competenze promesse».

Conclusione

Il quadro descritto dal rapporto Istat e dall'inchiesta del Consiglio Nazionale dei Giovani evidenzia una situazione critica per i giovani lavoratori italiani. Per superare questa crisi, è fondamentale rivedere le strategie di formazione e valorizzare le competenze, creando un ecosistema in cui le aziende possano realmente investire nei giovani.

Solo così sarà possibile interrompere il circolo vizioso di bassa produttività e salari inadeguati, garantendo un futuro migliore alle nuove generazioni. Le imprese devono comprendere l'importanza di investire nella crescita professionale dei giovani, non solo per il loro sviluppo individuale ma per l'intero sistema economico.

Attraverso una cooperazione tra pubblico e privato e una maggiore attenzione alla qualità della formazione, l'Italia può creare un ambiente lavorativo più inclusivo e competitivo, capace di trattenere i suoi giovani talenti e di attrarre nuove competenze dall'estero.