Le lacune nella formazione sono un problema a qualsiasi livello: per la Generazione Z, che ne fa uno dei pilastri della propria 'ideologia' del mondo del lavoro moderno, e per chi desidera un avanzamento di carriera, ma ritiene di non avere un bagaglio di competenze sufficientemente ampio. I benefici di una formazione fatta come si deve, però, valgono per tutti: sono il lavoratore e l'azienda a raccoglierne i frutti.
Il mondo del lavoro è in continua evoluzione ed è richiesta una formazione continua, che non riguarda solo le competenze tecniche, ma anche, ed ormai soprattutto, quelle trasversali.
La Gen Z ribalta il paradigma: no carriere manageriali, ma formazione
Se per la Generazione Z la formazione sul posto di lavoro è determinante, e come Osservatorio Delta Index lo sappiamo bene visto che la gran parte delle aziende lo coglie come priorità, non si può dire lo stesso dell'ipotesi di un avanzamento di carriera, seppur si tratti di un tema collegato alle competenze. Ne parla Francesco Perillo, Hr e psicologo del lavoro, su LinkedIn, analizzando un'interessante ricerca di Robert Walters.
I dati, relativi alla possibilità di ottenere posizioni manageriali di medio livello, sono emblematici. il 52% della Generazione Z, all'interno dell'Unione Europea, ritiene che non valga la pena intraprendere una carriera manageriale. Come mai? Il 69% associa questi ruoli ad alti livelli di stress e scarsa gratificazione, per via degli orari prolungati e delle maggiori responsabilità a fronte di una crescita salariale percepita insufficiente. Per il 18% c'è scarso potere decisionale e, per l'11%, una limitata crescita personale.
Invece che far carriera, il 72% dei giovani professionisti preferisce concentrarsi sulla crescita personale e l'accumulo di competenze. Ricercano sviluppo professionale, autonomia ed un equilibrio tra lavoro e vita privata.
Come devono muoversi le aziende
Le aziende, come indicato nella ricerca di Robert Walters, devono fronteggiare questa riluttanza nell'accettare ruoli di middle management. Il rischio per le aziende è di non avere futuro ed è necessario trovare dei correttivi.
Fondamentale è far matchare gli interessi dei giovani, le loro aspettative, con quello che questi ruoli possono offrire. Ci vogliono una maggiore autonomia, una valutazione regolare del carico di lavoro e chiare opportunità di aggiornamento e formazione.
L'Italia non è al passo nel formare i lavoratori
Il Future of Jobs Report 2025 racconta di come il 65% delle aziende italiane preveda di investire significativamente in programmi di upskilling e reskilling entro il 2030. La media globale si attesta al 55%.
Se da un lato si tratta senz'altro di un dato confortante, è però chiaro sintomo della presa di coscienza del gap che attualmente c'è. Il 44% delle imprese dichiara problemi nell’attrarre talenti qualificati, un dato superiore alla media globale pari al 39%.
Formare i lavoratori, con programmi di livello, sfruttando atenei ed aziende di e-learning, è fondamentale: sei attraente verso la Gen Z e verso chi vuole formarsi per avanzare nella carriera.
La formazione carente: un problema a 360 gradi che riguarda tutti
Una formazione scarna non è un problema solo per la Generazione Z. Secondo il primo studio di "People at Work 2025" di Adp Research, solo il 24% dei lavoratori, a livello globale, è sicuro di possedere le competenze necessarie per un avanzamento di carriera. Solo il 17% dei lavoratori concorda pienamente sul fatto che il proprio datore di lavoro stia investendo nelle competenze necessarie per un proprio avanzamento.
I lavoratori europei sono i meno propensi a credere di avere le competenze necessarie per progredire nella carriera e raggiungere il prossimo livello entro tre anni (17%). In testa ci sono i lavoratori del Medio Oriente e dell'Africa (38%).
I lavoratori europei sono i meno propensi anche nel credere che il loro datore di lavoro investa nelle loro competenze (17%).
In Italia la situazione è problematica. Solamente il 14% dei lavoratori (15% uomini, 14% donne) ha fiducia nelle proprie competenze. Appena il 10% ha fiducia nel datore di lavoro per la propria crescita professionale (11% uomini e 8% donne).
I benefici della formazione
Secondo la ricerca Adp, formare un dipendente non significa solo ampliare il suo bagaglio di competenze, ma anche renderlo più produttivo e leale.
"La nostra ricerca dimostra come una forza lavoro qualificata è più leale verso il proprio datore di lavoro oltre che più produtttiva. Eppure solo una piccola parte dei lavoratori viene riqualificata entro due anni dall'assunzione - dichiara Nela Richardson, economista capo di Adp -. Se le aziende vogliono trarre vantaggio dagli enormi progressi tecnologici in corso, dovrebbero investire nelle competenze e nell'avanzamento professionale dei loro dipendenti".
Quando Adp ha chiesto ai lavoratori di tutto il mondo quali fossero i motivi principali per non cambiare datore di lavoro, l'opportunità di un avanzamento di carriera ha avuto rilievo: è seconda solo alla flessibilità degli orari.
I lavoratori che pensano che i propri datori di lavoro si stiano impegnando abbastanza nel fornire la formazione necessaria, sono quasi sei volte più propensi a consigliare l'azienda e descriverla come un ottimo posto dove lavorare. Sono anche 3.3 volte più propensi a descriversi come altamente produttivi e due volte più propensi ad affermare di non avere intenzione di cambiare posto di lavoro.
Chi svolge compiti ripetitivi simili ogni giorno ha una visione molto negativa degli investimenti fatti dai datori di lavoro. Solo il 9% degli uomini ed il 7% delle donne, che rientrano in questa casistica, sono soddisfatti rispetto alle possibilità di upskilling.
Le soft skill: valore aggiunto
Una formazione completa è utile anche per le aziende, perchè vengono formati i dipendenti per il mondo del lavoro di domani, ma non sufficiente, come dichiarato da Mary Hayes, direttore ricerca People & Performance di Adp research:"Abbiamo rilevato che la formazione da sola non è sufficiente a colmare il divario di competenze. Solo il 24% dei lavoratori è sicuro di avere le competenze necessarie per progredire nei prossimi tre anni della loro carriera. Il mondo del lavoro sta cambiando ad una velocità impressionante e le organizzazione devono fare la loro parte per colmare il divario di competenze".
Secondo il Future of Jobs Report 2025, il 39% delle attuali skill richieste a livello globale (il 38% in Italia) subirà una trasformazione entro il 2030, con le soft skill che acquisiscono sempre più importanza e centralità.
Tra le soft skills in ascesa e maggiormente richieste troviamo la capacità di pensiero critico e analitico (69%), la resilienza, adattabilità e flessibilità (67%), la leadership e influenza sociale (61%), la presenza di pensiero creativo (57%).
L'importanza delle soft skill è testimoniata dalle caratteristiche che Adecco attribuisce al leader moderno: capacità direttive, doti comunicative ed empatia, capacità decisionali, essere d'ispirazione, umiltà, capacità di team-working, pragmatismo, capacità di delega, entusiasmo e sensibilità.
Conclusione
La Generazione Z ha tracciato la strada: è fondamentale adottare sistemi di formazione strutturati, a 360 gradi, che contemplino hard e soft skill. Il mondo del lavoro cambia continuamente, in maniera frenetica, richiedendo sempre più un alto livello di competenze. Dare centralità alla formazione, allo sviluppo del bagaglio di competenze, è l'unico modo per stare al passo ed essere attraenti verso le nuove generazioni.