La Pubblica amministrazione italiana è di fronte a una sfida cruciale: attrarre nuove generazioni di lavoratori qualificati per garantire il ricambio generazionale e affrontare le sfide della digitalizzazione. Dopo il fallimento di strumenti come l’apprendistato e i dottorati InPA, che hanno coinvolto un numero esiguo di giovani rispetto al fabbisogno del settore, il Governo tenta una nuova strada con un decreto che introduce concorsi mirati per tecnici digitali e corsie preferenziali per diplomati degli Istituti tecnici superiori (Its).
L’iniziativa punta a reclutare specialisti in «transizione digitale» e «sicurezza informatica» attraverso concorsi unici, organizzati da Funzione Pubblica e dalla commissione Ripam, adattati ai fabbisogni che gli enti pubblici dovranno dettagliare nel Piano integrato di attività e organizzazione (Piao). Una novità che mira a superare l’approccio standardizzato del passato, che ha reso il reclutamento pubblico poco attraente e inefficace.
A queste selezioni si affianca un’altra misura innovativa: fino al 10% delle assunzioni potranno essere riservate ai diplomati Its, con un meccanismo di inserimento progressivo. Il percorso prevede un contratto a tempo determinato fino a tre anni, durante i quali i giovani potranno iscriversi all’università con agevolazioni economiche (fino a 1.000 euro per le tasse), per poi accedere a un’assunzione stabile se la valutazione sarà positiva. Un tentativo di avvicinare il modello pubblico a quello del settore privato, dove percorsi di formazione e lavoro sono più strutturati e incentivanti.
La sfida della competitività
Il problema principale, però, resta quello salariale. Se è vero che si punta a rendere la Pubblica amministrazione più attrattiva per i giovani, come affermato dal ministro Paolo Zangrillo, i dati dimostrano che gli attuali stipendi offerti non sono competitivi. Anche nei dottorati, dove le retribuzioni possono arrivare a 30.000 euro lordi annui, l’assunzione definitiva è tutt’altro che garantita, spingendo molti giovani a preferire il settore privato, che offre migliori prospettive di carriera e welfare più vantaggiosi.
Il decreto interviene anche sulle assunzioni per mobilità volontaria, semplificando le procedure e rimuovendo l’obbligo per le PA di verificare la disponibilità di dipendenti di altri enti prima di bandire nuovi concorsi. Tuttavia, questo non risolve il problema di fondo: la scarsa attrattività del pubblico impiego rispetto alle opportunità offerte dal settore privato e dalla mobilità internazionale.
Un passo avanti. Basterà?
Le misure adottate sono senza dubbio un passo avanti, ma non sciolgono il nodo principale che ha decretato l’insuccesso delle sperimentazioni precedenti: l’assenza di un piano organico per rendere la PA davvero attrattiva per i giovani talenti.
Come sottolineato da Matteo Colombo di Adapt, il problema non si risolve con iniziative isolate ma con un sistema che garantisca formazione continua, percorsi di crescita chiari e condizioni economiche competitive. Senza questi elementi, la Pubblica amministrazione rischia di restare un’istituzione poco dinamica e incapace di trattenere le nuove generazioni, con ripercussioni sulla qualità e sull’innovazione dei servizi pubblici. La speranza è che questa volta il cambiamento sia strutturale e non l’ennesimo esperimento destinato a naufragare.