La retorica dell’Uomo di Marmo non funziona più: quasi l’84% dei giovani lavoratori ritiene che il suo lavoro contribuisca al proprio benessere in tutte le sue sfaccettature.
Cosa sta accadendo nelle aziende italiane con lavoratori difficili da reclutare - o trattenere - ormai molto attenti al proprio benessere soggettivo? Cosa possono fare le aziende alle prese con giovani lavoratori che, trasversalmente a età, titoli di studio, genere o area geografica, scrutinano con rigore i tanti e diversi aspetti del lavoro in relazione al contributo che danno al proprio benessere psicologico e fisico? L’VIII Rapporto Censis-Eudaimon aiuta a fornire un quadro generale in merito al welfare e al benessere aziendale, tematiche che l’Osservatorio Delta Index studia nell’ambito del selezionare e trattenere i giovani della GenZ nelle aziende.
Parola d'ordine: benessere
Salute, tranquillità, equilibrio. È questa la triade di termini che si palesa nella mente dei giovani lavoratori dipendenti italiani quando si parla di benessere. In questo momento storico al centro della vita delle persone è posta la ricerca di un benessere olistico, psicofisico con un equilibrio in cui salute fisica e mentale devono coesistere. Infatti ciascun individuo valuta i tanti e diversi aspetti del lavoro in relazione al contributo che questo lavoro dà o non dà al tanto ricercato benessere con diverse conseguenze a seconda dell’esito. Laddove -come spesso capita- il contributo fosse negativo diventano operative nella realtà quotidiana lavorativa delle piccole strategie per minimizzare impegno e performance lavorative a discapito dell’azienda.
La priorità dei lavoratori e soprattutto della GenZ è infatti quella di migliorare, attraverso l’attività lavorativa, il proprio benessere che se tempi addietro si legava solamente a una concezione di agio e ricchezza, ora non è più così. Il benessere oggi va inteso nella totalità della persona che è fatta di corpo e mente pertanto, questo riconoscimento della totalità, prevede anche un’attenzione agli esiti psicologici dei tanti e diversi malesseri legati al lavoro.
Una delle fonti più importanti di sofferenza e stress nei lavoratori si rifà alla crisi del welfare che al momento non è più in grado di dare risposte appropriate e rapide a bisogni sociali quali la salute, la vecchiaia, la non-autosufficienza, l’istruzione dei figli. Inoltre è molto alta la quota di lavoratori che ha difficoltà di accesso al welfare aziendale che, seppur incapace di risolvere le problematiche che condizionano negativamente vite e performance dei lavoratori, rimane uno strumento dalla riconosciuta capacità di garantire benefit, integrazioni di reddito e opportunità per i lavoratori.
Dunque il welfare diventa la possibilità per le aziende di affiancare i lavoratori nelle situazioni più difficili e nelle difficoltà del quotidiano innescando così percorsi di engagement e rimotivazione al lavoro. È da considerarsi finito il tempo del primato del lavoro e dell’azienda come spazio neutrale in cui i dipendenti lavorano senza contare il resto: il resto conta eccome se non si vuole andare incontro a una serie di difficoltà che comprometterebbero ulteriormente i lavoratori e le imprese stesse.
Il quadro generale
Come certifica il Rapporto Censis l’83,4% dei dipendenti ritiene una priorità che il lavoro contribuisca al proprio benessere olistico, complessivo da quello fisico a quello mentale e psicologico. Sebbene questa sia una convinzione prevalente in modo trasversale per chi lavora, è particolarmente importante per il 75% dei giovani dipendenti tra i 18 e i 34 anni. Di questo totale il 63,5% dei lavoratori dipendenti afferma che l’azienda in cui lavora potrebbe fare molto per migliorare il suo benessere dunque più della metà dei lavoratori dipendenti italiani non crede che la sua azienda stia contribuendo al suo benessere.
Infatti il quadro presenta realtà lavorative frastagliate da diverse difficoltà: il 25% dei lavoratori afferma di aver vissuto situazioni di stress o ansia legate al lavoro, al 48% è capitato di tanto in tanto. Il 24,3% non è riuscito a bilanciare vita privata e lavoro e al 52,5% è successo di tanto in tanto. Il 22,3% dei lavoratori dichiara che spesso la propria vita privata ha risentito di problematiche legate al lavoro e al 48% è successo di tanto in tanto.
Altri fattori negativi sono legati alla troppa pressione al lavoro (24%), sensazione di esaurimento (31,8%), poco supporto dal datore di lavoro (21,3%) o poca coesione tra colleghi (20,5%). Al quadro generale si aggiungono anche le difficoltà che i lavoratori si portano dalla propria vita privata influenzando il lavoro infatti il 21,5% si sente spesso sopraffatto dalle responsabilità quotidiane in generale (il 54,4% di tanto in tanto) e il 17,8% spesso ha difficoltà a concentrarsi al lavoro a causa dello stress o di preoccupazioni personali (47,2% ogni tanto).
Se si parte dunque dal concetto di persona intesa nella sua totalità di mente e corpo e se - come ribadito precedentemente - l’azienda come luogo neutrale non esiste più, in questo quadro è necessario tenere conto non solo di problemi che il lavoratori si porta a casa dal lavoro bensì anche dei problemi che il lavoratore si porta da casa. Un’osmosi negativa tra vita privata e lavoro: la sindrome da corridoio.
Osmosi negativa: sintomi e rischi
Secondo il Rapporto Censis il 41% dei lavoratori più giovani si porta a casa i problemi lavorativi e il 22,7% dei giovani dipendenti si porta a lavoro i i problemi legati alla vita privata. In entrambi i casi vi sono effetti negativi dati dall’evidente osmosi che esiste tra i diversi ambiti di vita - quello familiare e privato da un lato e quello lavorativo dall’altro. Questo genera un passaggio continuo di preoccupazioni, stress e pressioni nelle due diverse dimensioni. Questa situazione è stata definita come sindrome da corridoio ed esplicita la caduta di ogni barriera divisoria tra il lavoro e la vita extra-lavorativa. Gli effetti non possono che essere negativi sul benessere del lavoratore che si ritrova in condizioni di sofferenza influenzando le performance in azienda.
Ad accentuare questa situazione negli ultimi anni ha sicuramente giocato un ruolo importante la tecnologia. Il digitale ha infatti spezzato il legame tra presenza fisica sul posto di lavoro ed eventuale erogazione di una prestazione rendendo ancora più friabile il confine tra lavoro e vita personale. Questo flusso tra lavoro e vita privata si replica anche a livello psicologico in quanto, come nella realtà anche nella mente, è impossibile costruire una barriera tra quando il lavoratore è al lavoro e va a casa e viceversa.
Tutto questo genera non pochi problemi come riporta il Rapporto Censis: il 25,7% dei lavoratori dipendenti afferma di portarsi al lavoro i problemi di casa con effetti negativi sulle performance e il 36,1% afferma di portarsi i problemi lavorativi a casa con effetti negativi sulle relazioni familiari e/o amicali. Inoltre si portano i problemi di casa a lavoro restando condizionati il 22,7% degli occupati giovani e il 29,2% dei giovani adulti. Questi problemi che costituiscono campanelli d’allarme in merito alla sindrome del corridoio hanno conseguenze sul lavoratore la cui qualità della vita è ridotta e la cui sanità mentale è compromessa.
Cura per la sindrome da corridoio
A ristabilire il benessere soggettivo l’85,8% dei lavoratori dipendenti richiama all’ordine l’introduzione o l’aumento dei benefit del welfare aziendale tra iniziative per la salute fisica - dalla palestra ai corsi fitness di vario tipo (85,8%); servizi per l’accesso alla cultura - cinema, teatro, musei, acquisto di libri (80,3%); servizi per il supporto della salute mentale - servizio psicologo aziendale, meditazione e yoga (68,5%). Il problema a monte per il 41,8% dei dipendenti è stato però proprio la difficoltà a trovare qualcuno a cui rivolgersi nel welfare o nel socioassistenziale in presenza di un problema di salute o di un disagio di altro tipo. Dunque sì al consulente di welfare. Avere chiara la possibilità di una figura di consulente su cui contare è estremamente importante per un lavoratore che manifesta un disagio. Eppure, come spiega il Rapporto Censis, il 31,7% dei giovani lavoratori non sa bene cosa sia questa mansione.
Welfare: un insieme concreto di benefici
Si potrebbe definire welfare aziendale l’insieme molto concreto dei benefici e uno strumento funzionale a perseguire obiettivi diversi come il potenziamento delle retribuzioni, una più alta soddisfazione dei lavoratori e una migliore relazionalità tra imprese e dipendenti. È necessario però interpretare il welfare in relazione alle nuove modalità di rapporto soggettivo delle persone con il lavoro e all’inedita situazione di mercato odierna.
È necessario evidenziare che il ruolo del welfare aziendale è ormai fondamentale per rendere le aziende attrattive nella competizione per selezionare e trattenere i lavoratori, soprattutto i giovani della GenZ, come abbiamo registrato nell’osservatorio Delta Index in cui analizziamo le aziende secondo 4 processi cardine: attrarre, selezionare, formare e trattenere. Il welfare aziendale coinvolge tutti i quattro ambiti analizzati in quanto sono proprio il welfare e le sue potenzialità a poter creare una dimensione di benessere soggettivo, ormai criterio guida dei giovani lavoratori italiani. Perché il welfare porti i suoi effetti è però necessario capire quanto questo si adatti alle circostanze storiche e alle leggi di mercato del lavoro. La società attuale ha abbandonato altre finalità più coinvolgenti e mobilizzanti come la corsa a più alti consumi o un più elevato status sociale.
La vera novità con cui è necessario misurarsi è la nuova condizione cercata dai lavoratori: la ricerca individuale di benessere soggettivo che è ormai entrato nella sfera del lavoro ridefinendo i vari aspetti aziendali, le mission e le modalità operative del welfare aziendale. In passato il termine benessere era legato a una situazione di agio, disponibilità, prosperità, abbondanza e sicuramente una parte di questo permane. È però necessario prestare attenzione alla nuova accezione di benessere che comprende anche un valore olistico e soggettivo riferendosi a uno stato di salute fisico e mentale.
Degno di essere segnalato anche il riferimento a termini che evocano dimensioni di veicolo di benessere: la famiglia e il tempo per sé stessi. Uno stato di salute fisica ed economica non è più sufficiente in quanto, nell’attualità, si evince sempre più una curvatura verso la sfera individuale, quasi intima, con uno stretto legame con la salute mentale. I lavoratori che entrano in azienda, in particolare i giovani, sono marcati da una forte spinta di concentrazione su se stessi, sulle proprie risorse, per l’affermazione di un benessere olistico hic et nunc.
GenZ: il benessere? Una priorità.
Posto che il benessere è una priorità per le persone anche il lavoro, in questi termini, deve dare il suo contributo tanto che per il 75% dei dipendenti tra i 18 e i 34 anni è prioritario che il suo lavoro contribuisca al proprio benessere - in tutte le accezioni del termine. I giovani lavoratori non si accontentano più di un lavoro casuale perché lavorare è ciò che socialmente ci si attende dagli individui ad un certo punto della loro vita. Il lavoro è e rimane una risposta minimale all’esigenza di reddito che consente di sopravvivere ma, soprattutto dal punto di vista delle aziende, è necessario tenere presente che i giovani lavoratori applicano un criterio di minimizzazione di impegno e di coinvolgimento in base a quanto ricevono in termini di benessere da quello stesso lavoro.
Se il lavoro non dà un contributo al benessere soggettivo rischia di essere relegato ad attività sopportata a cui dedicare il minimo indispensabile di mente e corpo. Tipica situazione in cui il lavoro rischia di diventare, dal punto di vista dell’individuo, marginale, poco rilevante e non meritevole di impegno. Situazioni che creano stati psicologici nel lavoratore che possono sfociare in forme di burn-out a discapito dell’azienda e del lavoratore stesso.
Conclusione: l'importanza del welfare
Il nesso tra benessere e lavoro mostra che in azienda i giovani - e non solo- che arrivano non accettano più una desueta etica del lavoro in cui le problematiche restano fuori dalle porte dell’ufficio. In questo deve giocare un ruolo fondamentale il welfare aziendale che da dispositivo residuale e molto marginale, si è fatto strada diventando una sorta di ineludibile delle politiche sociali, delle relazioni industriali e della gestione delle risorse umane. L’originaria funzione di strumento per l’integrazione del reddito si è progressivamente mixata con altre funzioni diventando uno strumento di attrazione e motivazione dei lavoratori adattandolo alle diverse epoche.
Il welfare aziendale è dunque un dispositivo con una molteplicità di finalità adattabili alle esigenze dei lavoratori che conoscono e richiedono sempre più la sua presenza. Infatti per i lavoratori che ne beneficiano è una risorsa importante su cui contare. È però necessario che il welfare “tradizionale” cerchi sempre di rispondere alle esigenze dei lavoratori non garantendo tutto a tutti e attivando servizi su servizi ma creando un luogo in cui si promuove un benessere olistico, integrato e continuo per il lavoratore dipendente, offrendo soluzioni che migliorano la qualità della vita nel suo complesso. In questo senso si inizia a parlare ultimamente di azienda come Hub del benessere diventando un luogo di ascolto e supporto del lavoratore contribuendo al suo equilibrio e alla sua serenità.