A 33 anni è tra i manager più noti, un visionario che ha spinto l’azienda di famiglia «Bonacina 1889» di Lurago d’Erba (Como) - eccellenza artigiana lombarda nella produzione di arredi in giunco e midollino - a livelli inaspettati. Il giovane Elia Bonacina è Presidente e Ad. E quest’anno ha celebrato i 135 anni dell’azienda leader nel design made in Italy, nella quale dal suo ingresso ha portato i suoi giovani collaboratori da dieci e cento. L’Osservatorio Delta Index, che studia l’attrattività delle aziende rispetto alla Generazione Z, ha incontrato Elia per capire quali sono le strategie «modello» che lui, giovane tra i giovani, ha applicato per far crescere, dal 2012 a oggi, l’azienda con picchi del 20% e del 30%.
«Macché fannulloni, esattamente il contrario! Io non ho mai creduto che i giovani non fossero capaci. Dieci anni fa i miei amici lasciavano l’Italia per Londra o gli Stati Uniti e anch’io sembravo destinato alla fuga all’estero. Ma siccome sono un brianzolaccio testardo del Capricorno ho fatto il contrario».
«Un cambio generazionale vero, non come alcuni miei coetanei in aziende di famiglia dove comanda il padre settantenne. Poiché tra generazioni si parlano lingue totalmente diverse, io ho preso le redini dell’azienda come solo un giovane può fare con scelte coraggiose».
«Ho detto ai miei ragazzi che per raccontare bene il nostro prodotto avremmo dovuto venderlo direttamente noi nel mondo senza distributori intermediari. Così oggi ho giovani molto preparati che parlano tre o quattro lingue e girano il mondo».
«Ai miei recruiter ho sempre detto: non dovete guardare il curriculum vitae, ma se i candidati hanno la passione negli occhi. E quando li assumo, i giovani sanno che non finiscono nelle mani della famiglia Bonacina ma in un’azienda di artigianato moderna e accogliente».
«Da una cosa semplicissima: d’inverno ho portato il capannone da 15 a 20 gradi e d’estate ho messo l’aria condizionata».
«Infatti ho creato un ristorante - non la mensa... - dove tutti, dai vertici agli artigiani, pranzano insieme. Anzi, pranziamo insieme. Gli uffici sono arredati come i salotti di un appartamento. Abbiamo allestito aree break con alcuni lettini per riposare dopo il pranzo. Siamo circondati dal verde e d’estate si può pranzare nel prato. Chi vuole può portare anche il cane in azienda. Passiamo gran parte del nostro tempo al lavoro, se non è accogliente come la nostra casa, diventa difficile restarci. Un buon ambiente di lavoro crea un sistema virtuoso».
«Devo dire che l’azienda-casa riduce molto l’esigenza dello smart working. E sulle ferie lasciamo libertà di scelta lungo tutta l’estate. Anche perché i giovani preferiscono periodi di vacanza meno costosi rispetto alla classica chiusura d’agosto».
«La vecchia scuola imprenditoriale non funziona più. Io penso che il 90% delle imprese italiane che non trovano i giovani è perché sono loro le prime a respingerli. Se al colloquio picchi subito duro su quelle quattro regole rigide, è finita. È come arrivare in autostrada con il telepass, senti anche il beep ma la sbarra non si alza... Io invece la alzo con il modello di Adriano Olivetti».
«Per me sono fondamentali le soft skills. Se vedo una persona capace, dinamica, sveglia, la scelgo. Poi il mestiere si impara».
«Io faccio fare tanti corsi perché ho capito che se offri la possibilità di continuare a crescere, i giovani si sentono valorizzati e restano in azienda».
«Con il dialogo. Se la mia azienda è anche una casa, allora i problemi si risolvono insieme. Non solo, è giusto che i miei collaboratori siano informati anche sull’andamento dell’azienda. Un giorno ho presentato tutti i dati del bilancio e sa di cosa si sono stupiti? Dei costi enormi rispetto ai margini. Così si è ridimensionato anche il mito dei guadagni stratosferici da parte dei titolari. È finita l’era dello Sciur padrun».